Altrimenti detto: Succede solo in Turchia. Parte 3.
AKA: This happens only in Turkey. Part 3.
[Qui la parte [Here part 1 e and 2]
Questa volta siamo stati proprio arroganti.
Di solito partiamo sempre un piano (una spiaggia, un “amicodiunamico”, un campeggio..), piani che alle volte si lasciano piacevolmente stravolgere dall’incredibile ospitalità turca. Ma stavolta, dicevo, siamo stati proprio arroganti…
Partiamo da Aksaray nel primo pomeriggio, le giornate iniziano ad accorciarsi dunque sappiamo che tra breve dovremmo già femarci; non abbiamo idea di dove dormiremo ma questo non ci preoccupa minimamente. L’idea è questa: guidiamo fino al tramonto dopodichè puntiamo al paese più piccolo che troviamo.
This time we have been brash for real.
Usually we have a plan (a beach, a friend-of-a-friend, a camping…), plans that sometimes get overturned by the amazing Turkish hospitality. But this time we have been really brash…
We leave Aksaray in the early afternoon. Days are starting to get shorter, so we know we ha to stop soon. We have no idea of where we were going to sleep, but this is not worrying us too much. This is the plan: we will drive until the sunset and then we will head to the smallest village we see.
L’altopiano dell’Anotolia Centrale è piatto e desolato. Una strada sterrata invasa di pecore con in lontananza un minareto ci indica la via. Il centro del villaggio è una piccola bottega di snacks,fermiamo la moto e il proprietario ci viene incontro. “Ekmek?” (“Pane?”) domandiamo, “Yok!” (“Non c’è!”); “Tamam, çay!” (“Ok, allora offrici un tè!”). Habip (questo il nome del paffuto negoziante) felice ci invita ad entrare nel suo negozio e ci fa accomodare. In processione vengono a farci visita il figlio con 2 pagnotte fatte in casa ancora calde, la moglie con un vassoio di tè fumante, l’Imam del villaggio con tutto il suo alone di rispettabilità, e, ovviamente, tutti i ragazzini del circondario.The Central Anatolia plateau is flat and desolated. A minaret on the distance at the end of a dirt road fully occupied by sheep shows us the way. The center of the village is a small shop full of snacks, we turn off the engine and the owner comes out to greet us. “Ekmek?” (“Bread?”) we ask, “Yok” (“There is not”). “Tamam, çay!” (“Ok, then give us a tea!”). Habib (this is the name of the plump shopkeeper) happily welcomes us to the shop and gives us a seat. First comes the son with 2 homemade bread loafs still warm, after comes the wife with a smoking kettle of tea, then the Imam and obviously all the kids of the neighborhood.
La comunicazione è difficile ma sincera, il figlio ci chiede di scattare delle foto al suo bimbo di pochi mesi e di mandargliele (nessuno di loro ha la macchina fotografica e tantomeno un indirizzo email). Ci ripromettiamo di studiare il turco. The communication is difficult but honest, the son asks us to take pictures of his baby, a couple of months old, and to send them (they don’t have neither a camera nor an email address). We decide to study Turkish. Da lì in poi tutto va secondo il copione: cena, letto, colazione e tanti çay. La mattina per ringraziare promettiamo di stampare le foto e di inviarle per posta, regaliamo una confezione di tabacco (a sua volta regalataci in Cappadocia), fotografie di rito e in sella: lire spese = 0, punti esperienza guadagnati = 1000.From that point everything goes as expected: dinner, beds, breakfast and a lot of çay. The next morning we promise to print the pictures and to send them by mail. We give them a packet of tobacco that we received as a present in Cappadocia, we take a lot of pictures and then on the bike again. Liras spent = 0 Experience points gained = 1000.