La Kapadokya di Thomas

La Cappadocia è un luna park naturale con tante giostre.
L’esemplare tipico della fauna locale, estrapolato dal gregge, è il classico Giapponese-Dai-Dentoni-Sporgenti (sottospecie munita di Lonely Planet); mentre l’equipaggiamento standard comprende calzoncini tecnici, cappello da deserto, racchettine da hiking e reflex.

Tutto è organizzato come un carosello:
– in mattinata visita ai camini delle fate e nel pomeriggio hiking nella Rose Valley e tè con vista sul tramonto (2 lire per vedere il tramonto),
– domani museo a cielo aperto (8 lire) e shopping al mercato dei souvenirs,
– dopodomani giro in mongolfiera all’alba (150 euro) e visita alla città sotterranea (15 lire);
Spostamenti rigorosamente in massa: autobus VIP per i più snob, mountain bike e quad per i più avventurosi mentre per i più sportivi lunghe e stremanti vasche sotto il sole.
E non c’è tempo per riposarsi che la tabella di marcia è lunga e fra 3 giorni bisogna essere in aeroporto. Frenesia…

Io e Agata non abbiamo fatto/visto nulla di tutto questo: per noi la Cappadocia è stata un’esperienza mistica.
Per risparmiare le 2 lire per accedere al tramonto ufficiale (cazzo, il tramonto sarà pur gratis!) ci siamo inoltrati su una pista bianca tra coltivazioni di zucche (Agata sono zucche acerbe, non meloni gialli!) per ritrovarci soli con la moto su un promontorio, in compagnia di una vista magnifica e un gratuito tramonto, sotto un melo, seduti tra sedie luigi XVI, un’amaca e una teiera. Ma solo il giorno dopo abbiamo conosciuto Arşad; i turisti pagano per vedere le mitiche case scavate nella roccia, lui ci vive: pannelli solari, acqua corrente, orto; le sedie Luigi XVI sono sue.
Arşad è stata la guida alla nostra Cappadocia: per ripararci dal gelo della notte ci ha mostrato una magnifica grotta nascosta, una chiesa, dove abbiamo dormito in compagnia dei pipistrelli e delle stelle (sia in inverno che in estate la temperatura nelle grotte è stabile sui 15°).

E il giorno dopo ci ha condotto all’esperienza più vera: 3 ore di cammino, nessun sentiero, solo una direzione, per trovare la mitica città di pietra perduta di Zengi. Pinnacoli, tunnel, guadi, orti, bivi… “It’s time to take decisions”… La città è immensa e affascinante; troviamo una grotta per dormire con vista sull’alba, prepariamo il fuoco tra maestose torri di argilla, il tutto con l’enigmatico paesaggio della Cappadocia ai nostri piedi, senza anima viva, cercando di percepire quello che fu davvero quel luogo. Ma è solo il preambolo, domani mattina la goccia.

Colazione preparata sulle braci del fuoco di ieri, una volpe si aggira tra le guglie di argilla, il paesaggio è lunare, la luce è accecante, vaghiamo, vaghiamo: grotte, uva, pinnacoli, sole, tanto sole. Il mistero non si rivela: chi abitava quella città? Al tramonto restituiamo nuovamente la città in custodia alla volpe, lasciamo un’offerta di cibo per ringraziarla di averci permesso di intrufolarci nel silenzio e nei misteri di quel luogo e ci voltiamo un’ultima volta per ammirare la città fantasma.
C’è più Cappadocia nella nostra esperienza che in tutta la Lonely Planet: spesso, non averla, è una marcia in più.

Thomas