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Northern Areas: Karakoram Highway

La rotta attraverso le Northern Areas è tracciata!

Partenza da Islamabad verso nord per intercettare la leggendaria Karakoram Highway (KKH), il tratto più arduo della Via della Seta che attraverso l’Himalaya conduce fino in Cina (tuttora annoverata tra la 5 strade più pericolose al mondo [link]). Deviazione attraverso la selvaggia Kaghan Valley per infangarci le gomme e visitare le pendici del ghiacciaio. Valico del misterioso Babusar Pass (4173m) e infine nuovamente sulla KKH fino a Gilgit, paese così perso nel mezzo delle montagne himalayane che persino Google Maps non sa se posizionarlo in Pakistan o in India.

Ritorno da definire.



Il primo giorno di viaggio ci riserva poca soddisfazione: è fine giugno, le città sono un forno e le prime colline sono meta del turismo di massa locale. Murree è la prima di queste mete, minuscolo paesino brulicante di turisti con macchina fotografica dove appena scesi veniamo accerchiati. Tempo di permanenza: 15 minuti. Proseguiamo verso nord fino a Nathiagali dove incontriamo le prime scimmie e ci fermiamo per pranzo. Per un pollo allo spiedo vogliono 6€, a Milano lo trovo a meno. Tempo di permanenza: 1 ora.

Dobbiamo andare più a nord…


Raggiungiamo l’imbocco della Karakoram Higway, che si rivela davvero pericolosa ma non tanto per le insidie delle montagne quanto per un connubio di smog, camion, traffico, clacson, villaggi intasati, bambini, animali, pessime condizioni stradali e matti alla guida. Per carità, è un quadro molto pittoresco: i camion sono coloratissimi, gli autobus stracarichi di gente fin sul tetto e i villaggi strabordanti di persone, animali e cose, ma in 25km assistiamo a un incidente, rischiamo a nostra volta un frontale e veniamo “spostati” da un enorme pullman. La tecnica di sorpasso micidiale denota totale affidamento al volere di Allah… non è raro vedere macchine che sorpassano altre macchine che sorpassano un camion.
Lasciamo illesi la KKH per entrare nella Kaghan Valley, e’ il tramonto e stremati spegniamo finalmente la moto al PTDC di Balakot (gli alberghi del governo). Il manager ci accoglie benissimo: inizia proponendo la stanza a metà prezzo e concludiamo con la tenda nel giardino gratis… da questo momento in poi, grazie al passaparola, diventeremo ospiti ufficiali (e non paganti) di tutti i PTDC del Pakistan!

Ma dov’è questo selvaggio nord che stiamo cercando? E’ forse un’illusione?


Proseguendo verso nord nella Kaghan Valley deviamo per uno sterrato sassoso che si inerpica fino a 2300m e porta a Shogran. Anche questo villaggio risulta essere estremamente turistico, ma il paesaggio di foreste e praterie verdissime inizia a mostrare i segni della bellezza sorprendente di questa terra. La situazione mette però in risalto tutti i suoi contrasti: villaggi rurali, isolati tutto il resto dell’anno con come unica fonte di sostentamento la pastorizia e il fuoco, si trasformano d’estate in luccicanti fiere del consumismo. Al crepuscolo comincia il concerto dei generatori di elettricità che si accendono uno dopo l’altro coprendo i rumori della notte; l’odore del diesel e le luci delle bancarelle attirano sciami di turisti di città ansiosi di respiare “aria di montagna” e spendere i loro soldi in prodotti “genuini” della loro terra. Come il miele artigianale, versato direttamente da un secchio contenente alcuni pezzi di alveare (sempre gli stessi) completamente immersi in un dolce e denso… zucchero colorato! Oppure i prodotti locali di nonna Nestlè, impacchettati singolarmente con tante piccole confezioni che doneranno un tocco di colore alla montagna banalmente verde.
Inizia anche a delinearsi meglio la figura del Pakistano: i locali sono davvero genuini, ospitali e di mente aperta, si riconoscono dall’abbigliamento tradizionale (la Shalwar Kameez per gli uomini; di donne se ne vedono poche); estremamente maleducati, goffi e infantili i ricchi turisti Punjabi (facilmente riconoscibili dai pantaloncini, la polo, la reflex e il cappello da cow-boy). Queste orde barbariche, principalmente in gruppi di 3 o 4 padri di famiglia, provengono tutte da un unico luogo: Lahore, nel Punjab Pakistano. Ovviamente ci sono eccezioni, come i nostri super-amici di Lahore appena conosciuti: Usman, Rashid e Raaz .
Piantiamo la tenda in un prato, accanto alla baracca del cuoco di un hotel (faremo colazione con lui tutte le mattine), e per qualche giorno alterniamo relax e passeggiate tra i prati fino al ghiacciaio.


Al mattino del terzo giorno la strada chiama, salutiamo tutti, finalmente in sella… ma a metà della ripida e fangosa salita per uscire dal paesino una tubatura bagnata affiorante fa perdere completamente aderenza al posteriore; con il gas aperto e la strada una poltiglia non c’è modo di reagire: fulmineo testacoda di 180° strisciando un fianco su fango e sassi. La borsa laterale in (finto) alluminio è letteralmente a brandelli, il portaborse in acciaio è piegato e semi-divelto e il mio ginocchio – sempre quello – mi fa urlare. Terza caduta, tutte a sinistra (come in Turchia), dove legamenti e menischi hanno già dato le dimissioni da un pezzo.
Morale a pezzi, tutto è in discussione; il ginocchio è gonfio, la moto non è in condizioni di viaggio e i giorni rimanenti sul visto sono contati. Tornare a Islamabad? Ma come? Prima di disperare facciamo un tentativo a dir poco ottimista: magari a Balakot (polveroso paesino con un distributore e un ponte) troviamo chi ci raddrizza il telaio portaborse e chi ci costruisce una valigia in metallo su misura con i supporti adatti, il tutto in giornata e per di più di venerdi sabbatico…
Saliamo sui mezzi pubblici per tornare in città con io che zoppico, i resti della borsa tenuti insieme dallo spago e il telaio portaborse tutto piegato. Il disagio iniziale per la nostra condizione miserevole svanisce presto, nel giro di poco sul pulmino sale un tizio con un enorme pezzo di lamiera tutto arrugginito e ci rilassiamo. Eccoci al mercato, tutto è desolatamente chiuso, ma iniziamo a parlare con la gente e attorno a noi si forma un affiatato team di supporto. Nonostante la lingua le cose iniziano a muoversi, passiamo da una bottega semi-aperta ad un’altra, e in men che non si dica, mentre un sordomuto con la fiamma ossidrica ci raddrizza il portaborse direttamente in strada, un vecchietto con la cataratta scovato nell’oscurita di una serranda abbassata ci costruisce una valigia in acciaio su misura per meno di 10 €. E’ quasi vittoria, nel frattempo io gironzolo nervoso nella zona ferramenta: devo trovare qualcosa di adatto per i supporti… frugando tra i rottami di un ferrovecchio compero a peso una listella di ferro arrugginito, che con un po’ di fantasia, un gessetto e pochi minuti da un fabbro diventa 2 supporti traforati a “L” che compongono l’ultimo pezzo del nostro puzzle. Missione compiuta, tempo necessario: poche ore.

Questa Caccia al Tesoro al Bazaar di Balakot porta vento d’entusiasmo; lo stesso problema in Europa si sarebbe potuto risolvere o con molti soldi o con molto tempo. Questa vittoria netta verrà ricordata e celebrata per gli anni a venire. Torniamo al PTDC per una lauta cena, meritatamente offertaci, che ci godiamo come nella pubbilcità dell’Amaro Montenegro.       More… Hide…

Voglio qui fare un ritratto veloce di ognuno dei 3 co-protagonisti di questa impresa, per ricordarmeli in futuro.

La Guida, un signore giovane e distinto ma di ceto umile: ci ha visto sul pulmino -ha capito che eravamo pieni di problemi- e si è offerto di farci da guida e traduttore nel bazaar; non che parlasse inglese, ma conosceva i segreti della pazienza.

Il Sordomuto con la Fiamma Ossidrica, che avevamo preso per lo scemo del villaggio quando invece lui aveva già capito tutto mentre gli altri ancora scuotevano la testa; ha dovuto praticamente strapparci di mano il telaio e aggiustarcelo davanti (anche in Iran ci è capitato: coi sordomuti c’è sempre intesa).

Il Vecchietto con la Cataratta, lui varrebbe la pena incontrarlo: vecchio, cieco, rimbambito, con notevoli tremori da Parkinson, senza un tavolo o una luce nel suo laboratorio, solo delle forbici e un martello; ma usa i piedi come fossero mani, e con destrezza, metodo e precisione ha portato a termine il lavoro con sicurezza, senza prendere una misura che fosse una! Nessun robot da catena di montaggio potrebbe vagamente avvicinarsi alla sua efficienza.


Recuperiamo la moto, nel frattempo le nostre conoscenze tra i manager della valle aumentano e siamo graditi ospiti anche a Shogran, dove oramai conosciamo tutti. Veniamo accolti, e in particolare veniamo adottati da una simpatica coppia di Lahore, Ali e sua moglie, che avevano assistito alla caduta ed erano in pensiero per noi.

La moto è pronta, ma io? Zoppico e sono intimidito. Non so più se troverò quello che cerco anche proseguendo oltre verso nord… ma se lo trovo, saprò affrontarlo?


Ma è ora di lasciare il focolare domestico, nella prossima e ultima parte di questa avventura lasceremo finalmente indietro i turisti a gingillarsi con le loro reflex e ci addentreremo nel ghiacciaio, là dove la strada finisce. Tuttavia nuove insidie ci aspettano, e, a Gigit, non ci arriveremo mai…


[ Leggi la seconda parte ]     

Thomas

4 Comments

  1. Raddrizzare un tubo in acciaio, costruire una valigia in alluminio e fare due staffe per fissare il tutto? A Milano ci mettevi due settimane! Fantastico e paradossale che per costruire cose da zero sia molto più facile farlo in uno sperduto paesino del Pakistan che in una metropoli europea. Ma è anche logico in effetti, noi abbiamo tutto pronto ormai, loro spesso devono costruirsi le cose di cui hanno bisogno.

    • Guarda, ora siamo a Pushkar, e io passo le mattinate ad osservare l’uomo con la fiamma ossidrica (la sua officina è un armadio di metallo sul ciglio della strada).
      Che mestiere affascinante… quando avrò una casa io lavorerò il ferro!
      Scommettiamo?

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