Bandar Abbas: downtown

Tuttavia Bandar Abbas a noi è piaciuta…
Chiariamo: Bandar Abbas a giugno è micidiale, a casa hai il condizionatore sui 26°, apri la porta, esci e… splash! In un attimo sei bagnato. A piedi non vai davvero da nessuna parte, il sole potrebbe incendiare i tuoi abiti; mandi un amico a prendere la macchina (mai toccare la maniglia a mani nude) e ad accendere il condizionatore e quando torni in quel micro-ambiente artificiale che garantisce la soppravvivenza è piacevole girare la città.

Nel nostro caso la “casa” in questione era di Eshan e della sua famiglia, dove siamo stati davvero trattati come figli e abbiamo mangiato da favola (finalmente, dopo così tanti kebab!), e la macchina era quella del suo amico iraniano ma con anima sudamericana, è grazie al finestrino della sua Saba Saipa truccata (la macchina dell’iraninano) se abbiamo visitato la città.
Unica uscita all’aria aperta che ci siamo concessi, la sera sulla spiaggia a fumare nargilè, e nel vedere addirittura dei ragazzi in canottiera Bandar Abbas ci è apparsa la città più libera di tutto l’Iran …e si trovava anche proibitissima birra proveniente da Dubai!


Quello che non ci aspettavamo erano le vesti colorate delle donne invece del solito nero, ma soprattutto le loro maschere tradizionali: non abbiamo la foto, ma immaginatevi una maschera di Venezia nera indossata sotto al velo, ecco, vi assicuro che ci siete!
Tra le altre cose ci è capitato anche di fare da fotomodelli, in cambio una chiavetta usb e la stampa di una quantità esagerata di fototessere “da documento”, e in Iran i documenti li prendono sul serio: ho dovuto mettermi la camicia bianca!

Comunque non andateci in vacanza, è un dannatissimo forno! Noi ci siamo stati per gestire la nostra prima spedizione della moto: destinazione Dubai. Eravamo preparati a rocambolesche capriole burocratiche ma… mai nella vita ci saremmo aspettati tale abominio!
Il giorno che volevamo partire era l’anniversario della morte di Khomeini (quello con la barba, non quello con gli occhiali), dunque vietato lavorare in tutto lo stato. Partenza rimandata di due giorni ma per fortuna: 2 giorni è il minimo per sbrigare tutte le pratiche, ma non perchè ci siano attese, bensì perchè ogni singolo impegato di tutti gli uffici del porto deve mettere il suo timbro su un foglio. Potete immaginarlo? Un’escalation di fogli, timbri, graffette, firme e fotocopie che dopo due giorni – full-time – finalmente ti porta ad avere il timbro sul Carnet de Passage. Ogni tanto quando ci vedevano stremati venivano a portarci dell’acqua. E noi avevamo anche un interprete, senza sarebbe stata un’impresa impari. Eshan non ti ringrazieremo mai abbastanza per il tuo aiuto!

Saliamo sul traghetto, la moto nella stiva, le donne a destra, gli uomini a sinistra. Poi il capitano inevitabilmente ci nota (dal lato delle donne: tutte col velo nero integrale, quello con solo una fessura per gli occhi, più Agata; dal lato degli uomini: tutti con kefya in testa, più Thomas…) e acconsente a farci stare vicini.
Si mangia, si dorme, si mangia, un bimbo resta a fissarmi tutto il tempo, ed ecco a prua lo skyline di Dubai: Agata puoi togliere il velo!

Thomas